L’Albergo dei Poveri: recensione dello spettacolo in scena al Mercadante

Se siete degli accaniti lettori di Dostoevskij o, semplicemente, vi considerate dei ferventi esistenzialisti alla ricerca di qualche evento a cui portare i vostri amici sicuramente non potete perdervi “L’ Albergo dei Poveri”, in scena al teatro Mercadante di Napoli dal 3 Aprile al 14 Aprile 2024. La discussione che ne seguirà molto probabilmente si articolerà intorno ai concetti come la finitudine, il fallimento, l’assurdo dell’esistere e la precarietà dell’io di fronte al mondo, temi ben evidenziati dalla regia di Massimo Popolizio.
Il dramma è uno dei monumenti di Maksim Gor’kij, che vide luce nella Mosca del lontano 1902, per poi ottenere una nuova identità nel 1947 grazie alla regia di Giorgio Strehler. L’azione si svolge all’interno di un dormitorio appartenente a Michail Ivanoviĉ Kostylëv e gestito da sua moglie Vasilisa. Il diroccato abitacolo è infestato da una variegata, disagiata ed emarginata umanità: prostitute, baroni decaduti, attori e musicisti falliti, malati e beoni di vario tipo. I rapporti non sono affatto semplici: i personaggi sono tra loro meschini e controversi, insudiciati dal vizio, pronti a vendersi tra loro per un sorso di vodka. Ovviamente in questo quadro non può mancare una più che legittima disgrazia sentimentale: Vasilisa è attratta dal ladro Pepel, ombra di Michail e capo di questa piccola “corte dei miracoli”, ma che è, a sua volta, innamorato di Natal’ja, sorella di Vasilisa. A rompere gli equilibri è l’arrivo del pellegrino Luka che, per rimanere nel tema della Russia dei primi del ‘900, sembrerebbe partorito direttamente dalla penna del filosofo Vladimir Solov’ëv. Luka, infatti, parlando di Dio, coscienza e possibilità, con discorsi incalzanti, sapientemente stesi dal drammaturgo Emanuele Trevi, cercherà di aiutare ognuno dei personaggi a ritrovare una strada, a creare la propria realtà di salvezza al di fuori dell’albergo ma con scarsi risultati. Tutti i personaggi sono, infatti, intrisi di cinismo, arresi alla loro condizione e alla narrazione della brutalità del mondo, che non terrà conto neanche dei sacrifici degli unici elementi disposti a seguire i consigli di Luka.
Da segnalare con particolare merito l’interpretazione di Raffaele Esposito (alias Pepel), il quale è riuscito straordinariamente a mostrare la verità di una personalità rutilante e ostinata. D’altro canto, il personaggio di Luka è sostenuto con potenza dal gigantesco Massimo Popolizio: un vero fomentatore ed emissario, capace di rompere la quarta parete con vigore senza mai risultare macchiettistico o melodrammatico.
Menzione a parte va fatta alle donne del cast: Sandra Toffolatti ci ha regalato una spietata Vasilisa, grottescamente attraente e gorgonizzante, capace di inchiodare lo squadro degli spettatori. Per chi ha già avuto il piacere di apprezzare le sue doti recitative nelle vesti de “Il Nunzio” nella Medea di Federico Tiezzi la scorsa estate al Pompeii Theatrum Mundi, si troverà di fronte un personaggio di tutt’altra caratura e abilmente sostenuto. Diamara Ferrero nelle vesti di Natal’ja che ha saputo illuminare il palco, umana fulgore, in quanto elemento di candore, ma comunque dotata di una grande forza. Ci ha restituito in maniera purissima l’urlo di un personaggio resiliente ma costantemente schiacciato dalla volontà altrui, insieme a Zoe Zolferino che ha interpretato una dolcissima e infelice Anna, dalla voce sottile come un uccellino e dall’ombra esile. Ad ultima, ma non per importanza, una peculiare Carolina Ellero, con il suo altrettanto bizzarro personaggio Nastja, una giovane alienata e sensibile, convinta di aver vissuto in prima persona le storie che legge nei libri. Pregio soprattutto per il suo movimento scenico: pose grottesche e gestualità da cinema dei fratelli Lumière, molto caligaresca.
Unico dispiacere che abbiamo riscontrato è stata l’assenza di un approfondimento maggiore di determinati personaggi: chi è il cosiddetto “Principe”, interpretato da Martin Chishimba? Cosa è accaduto al Barone (Giovanni Battaglia) che lo ha portato in questo sottosuolo? Qual è la storia pellicciaio Bubnov, scagnozzo di Vasilisa, interpretato abilmente da Giampiero Cicciò? Cosa ha portato Nastja alla follia? Lo stesso Michail (Francesco Giordano), per quanto sia nel mezzo del dramma amoroso, sembra lasciato un po’ a latere.
Per quanto concerne invece le maestranze che hanno collaborato allo spettacolo non si può che, veramente, applaudire. La scenografia, curata da Marco Rossi, essenziale ma interscambiabile come un libro pop-up, ha saputo dare un fortissimo dinamismo a tutta l’opera che, in fin dei conti, è ambientata in un solo luogo. In particolar modo l’idea delle travi di legno che potevano fungere sia da letti, che da tavoli, che da palchi su cui ogni personaggio a turno prendeva voce, che da muri separatori è stata a dir poco brillante. Soprattutto nei quadri finali di ogni atto in cui, complice l’ottimo utilizzo delle luci a cura di Luigi Biondi, abbiamo assistito a delle opere specificatamente caravaggesche in movimento. In particolar modo segnaliamo una scena in cui tutti i personaggi sono rannicchiati in un angolo e si scaldano utilizzando un unico raggio di sole che si fa strada tra le tegole del soffitto, tagliando di netto la scena e la platea completamente immerse nel buio. Non sappiamo se la citazione al film Miracolo a Milano di Vittorio De Sica (1951) sia stata esplicita e volontaria, o solo casuale; ad ogni modo è stata sia evocativa che, figurativamente parlando, estremamente bella.


Fonte Foto: Teatro di Napoli