Les Folies Napolitaines: recensione dello spettacolo
Ispirato agli spettacoli licenziosi portati alla ribalta nella Parigi della fin de siècle, che affollavano il foyer delle Folies Bergère, quello proposto al teatro Bolivar di Napoli e, prima ancora, al Campania Teatro Festival può essere considerato senza dubbio come un unicum all’interno del panorama teatrale partenopeo.
La compagnia “Burlesque Cabaret Napoli” nasce nel 2013, grazie all’incontro delle artiste Floriana D’Ammora (Fanny Damour) e Roberta Della Volpe (Roby Roger). È grazie a loro che oggi, anche Napoli, può vantare il suo posto d’onore tra le numerose realtà del vaudeville internazionale, con rappresentazioni boccaccesche dal gusto retrò.
Tuttavia gli artisti dello spettacolo andato in scena al Bolivar lo scorso 12 Aprile, si son trovati di fronte un pubblico assai ostico, poco avvezzo ai lazzi goliardici e ai diversi numeri assemblati per dar vita a Les Folies Napolitaines. Al teatro di prosa, lirica dei tempi andati, ai balletti dal gusto romantico e sperimentazioni avanguardistiche, la regista Fanny, insieme agli altri performers Marlon Dietrich (Salvatore Veneruso),
Monsieur De Sade (Giuliano Casaburi) e Cherie Garçon (Arianna Cristillo), ripropongono uno spettacolo leggero ma sardonico e vizioso. L’invito che accompagna lo spettatore sin dalle prime battute è quello di lasciar andare la logica, di allentare i freni inibitori e godersi con spensieratezza una scandalosa e irriverente serata, in cui il ludico intrattenimento prenderà il posto degli affannosi tormenti della contemporaneità. Ma non sono bastate le parole dell’ammaliante Fanny Damour, coadiuvata dall’anfitrione Marlon Dietrich, a distendere gli animi dei presenti. Il vero divertimento, infatti, sta proprio nel gioco tra le parti, in cui chi
assiste è dentro lo spettacolo, tanto quanto chi lo conduce, attraverso la propria animosità, rompendo la quarta parete e incitando gli artisti. Era ed è tutt’oggi questo il principio degli spettacoli di cabaret, o del caffè-concerto, di cui Napoli vanta una secolare tradizione che sembra aver dimenticato. Dalla platea pochi erano i nitriti, i ruggiti o i miagolii; flemmatica era la partecipazione degli astanti, complice la distanza tra palco e pubblico, che non aiuta a sostenere questa tipologia di spettacolo, ma che merita tutt’altra dignità. Per chi infatti ha assistito agli eventi settimanali tenuti ad A’mbasciata (Palazzo Venezia), si è trovato di fronte uno spettacolo esteticamente affascinante, soprattutto grazie all’uso sapiente delle luci di scena curate da
Fanny, ma con poco mordente. A’mbasciata è il luogo perfetto dove godere dello show poiché lo spazio condiviso tra gli artisti e il pubblico è ridotto in una stanza. La scena si svolge in un corridoio, dando la netta sensazione che tra le parti non vi siano barriere, o pareti, di alcuna sorta. In teatro la scarsa prossimità con la platea crea un’atmosfera tale per cui chi ha potuto assistere anche ad uno solo degli spettacoli presentati la Domenica in quel magico luogo sito nei pressi di Spaccanapoli, esce dal teatro con una nota di sincero dispiacere. L’elemento peccaminoso, che rende caldo l’ambiente, sembrava non bastare e la scena appariva a tratti troppo grande per i diversi numeri.
Innegabile e di gran caratura è il talento dei vari performers, che hanno presentato un ventaglio di sipari curati e ricercati. Lo spettacolo si apre con l’intera compagnia che ripropone “Seasons” di Pina Bausch, sulle note di West and Blues di Louis Armstrong, che già, come inizio, ci anticipa il livello della rappresentazione a cui stiamo per assistere. Particolare merito va agli intermezzi di Monsieur De Sade e Cherie, che ci hanno fatto viaggiare tra la Germania della Repubblica di Weimar, con un numero in tedesco sulle note di The Wine (Clare Fader), e la Francia della Belle Époque, attraverso il racconto della storia d’amore tra un aitante ventriloquo e la sua malinconica bambola. Da segnalare, inoltre, per merito, Grace Heart (Chiara D’Agostino) che è riuscita a ricreare una dimensione intimistica, a portare lo spettatore nel sogno di “C’era una volta in America”, sopra le delicate note di Ennio Morricone e un efficace taglio di luce che ha valorizzato magistralmente un numero semplice ma efficace. Ricordiamo anche la dolcissima “Frou Frou del Tabarin” di Medusa (Chiara Sarrubbi), anch’essa sobria ma sicuramente evocativa. E infine, dulcis in fundo, i padroni di casa con i nostri numeri del cuore: Marlon che ha cantato e danzato, luciferino, “Via con Me” di Paolo Conte, trascinando il pubblico con la sua suadente ed energica interpretazione; Roby Roger con un’elegantissima Petite Fleur (Sidney Bechet), ci ha regalato un numero classico coi ventagli di piume, da sempre iconici, che ci riportano al burlesque del passato e alle sue origini; e Fanny Damour che invece ci ha istruiti al transnazionalismo, complice la sua esperienza a riguardo, con un numero accattivante e altamente beffardo, che ci ha teletrasportato nella pellicola di “Cotton Club” di Francis Ford Coppola (1984), sulle note di “The Mooche” (Duke Ellington).
L’invito che facciamo è quello di seguire gli spettacoli della compagnia “Burlesque Cabaret Napoli” a Palazzo Venezia, che ogni Domenica ospita Fanny e la sua schiera di proseliti in una serata all’insegna della trasgressione e della vanità. A chi pensa che il teatro debba ossequiosamente interessarsi dei massimi sistemi, spettacoli come questi sono la dimostrazione che anche le note lievi e scanzonate hanno pari valore di un’opera di tutt’altro respiro. In tempi in cui il cabaret è associato alla mercificazione televisiva è giusto ridare al genere la sua naturale dimensione, che spesso trova spazio in luoghi non consueti, e chissà se può attingere da queste sperimentazioni nuova linfa.
Recensione scritta in collaborazione con Pasquale Asseni.