L’uomo senza sogni

S. si destò dalla solita notte senza sogni. Il corpo era grave, spossato, come se avesse vissuto dormendo. Non c’era stato riposo. Eppure non c’era ricordo lucido di vita onirica. Solo stanchezza come di chi ha camminato a lungo. Densità, che pervadeva le membra sotto forma di tossine. L’organismo era provato dall’assenza di tregua che appesantiva i muscoli e ottundeva la mente. Dormire è brevemente morire. S. non aveva mai smesso di vivere. L’oblio dei sogni si era incrostato nella tensione del corpo che aveva lottato. Era frustrazione per una assenza a cui aggrapparsi.
I primi pensieri della vita lucida, gli imperativi automatici per tornare nel mondo sfumavano nei brandelli di immagini mentali che provenivano spontanei dai bordi caotici della coscienza. S. sapeva che senza il suo eccitante mattutino la prassi di vivere non poteva iniziare. Mise i piedi sul pavimento, con uno slancio secco. Allontanò con fastidio le coperte sterili. Deambulò incerto, usando la luce frazionata dalle imposte per orientarsi nell’eco delle tenebre. Usò il pallore sbiadito per trovare una direzione e un approdo. Si mise eretto, vagando, per frazioni inquantificabili di tempo, nella terra sospesa tra le dimensioni del sonno e della veglia. Si ordinò di avanzare.
Scese la scala a chiocciola come un infermo, tenendosi al corrimano. Lo spazio consueto lo scrutava ibernato. Sempre uguale a se stesso, alla propria sorda oggettività. Si diresse in cucina, emise balbuzienti e macchinali impulsi diretti alle mani: svitare la moka, riempire la base con acqua, versare cucchiaini di caffè nel cilindro – perché si ostina a cadere sul lavabo, si chiese irritato senza rispondere – avvitare, accendere il fornello, appoggiare la macchinetta per l’ebollizione. Per accorciare l’attesa si consigliò di rollare le due sigarette post caffè.
Accasciato sulla sedia, come una fune inerte, iniziò il rituale sul tavolino tondo laccato di bianco: cartine, tabacco steso con perizia, inserimento del filtro, ondulamento tra pollice e indice, leccamento del lato colloso, arrotolamento con rotazione esperta. Gli occhi svolarono involontari e planarono casuali sul computer, indifferente sul tavolo. Mise a fuoco interdetto. Non era il Commodore 64. Era un coso simile ma non il suo vecchio computer.
Disorientato S. accostò a sé l’oggetto alieno, lo sfiorò con i polpastrelli esitanti, lo maneggiò per tastarne la consistenza: era sottile, con i tasti piatti, con un monitor attaccato alla tastiera. Un aggeggio mai visto prima. Il suo Commodore aveva i tasti rialzati e cubici, andava collegato con un filo allo schermo della tv, era bombato e massiccio. Inoltre non vedeva neppure il lettore per i floppy disk né il joystick. Quello davanti a lui gli somigliava soltanto, pareva una copia raffinata, un’evoluzione stilistica. La mente di S. si incagliò su due considerazioni insuperabili: “dov’è finito il Commodore 64?” e “questo nuovo oggetto da dove cavolo è arrivato?”.
S. lo accese fidandosi della somiglianza dei tasti. Lo schermo brillò. S. provò lo stupore dell’infanzia. Nel riquadro luminescente albeggiava una immagine stupefacente di paesaggio naturale: un lago scintillante contornato di maestose montagne innevate. S. credette che fosse un film e attese la prossima immagine. Nessun movimento. Si convinse che il televisore Commodore fosse guasto. Diresse occhi e dita verso i simboli in basso, per sbloccare l’ottusa imitazione di personal computer. Esitò come chi teme l’irreparabile. Scelse a caso, nella frenesia di chi non sa cosa fare, un tondino multicolore. Lo schermo baluginò. Al centro della piccola tv adesso campeggiava la scritta “Google” con sotto un rettangolo “Cerca con Google o digita un URL”. Sotto, simboli colorati dentro a degli ovali con scritte incomprensibili: Facebook, Instagram, Gmail, Wikipedia. Non era dunque un televisore. Si guardò intorno nervosamente. Tutto era immutato. Non era un sogno. I mobili testimoniavano la realtà. Osservò le sue braccia e le gambe, ne strinse una a riprova di esser desto. Osservò la sua immagine nel riflesso dello schermo e seppe di essere lucido. Nei sogni non si vede mai il volto di se stessi. Nei sogni. Convulso digitò una parola a caso nel quadrante.

VITA

“Nella concezione e nel linguaggio comune, s’intende in generale per vita lo spazio temporale compreso tra la nascita e la morte di un individuo…”
Sbigottito S. continuò.

MALINCONIA

“Stato d’animo tetro, depresso e accidioso e insieme meditativo e contemplativo, occasionale o abituale…”
S. non credeva ai suoi occhi. Tentò l’azzardo massimo. La parola insondabile.

MORIRE

“v. intr. Cessare di vivere, detto di uomini o di animali, e più genericamente di ogni organismo (anche vegetale), o elemento costitutivo di esso…”
Qui il dio divagava, balbettava, tornava alla sua natura ambigua, al suo vuoto.

Da qualsiasi posto venisse, forse S. era trapassato e adesso si trovava nell’altrove; quello strumento era una protesi della verità, una manifestazione del monolite di Kubrick, un oggetto sacro, Google era Dio pensò S. Un dio che finalmente parlava. Immateriale e onnisciente rispondeva a ogni domanda.
In basso alla scatola metafisica apparve un quadratino animato. Si sollevò dall’angolo sinistro del super Commodore una finestra News con dentro le immagini di una donna che abbracciava affettuosamente un anziano mentre la voce fuori campo cantilenava: “la Presidente del Consiglio italiana ha incontrato il Presidente degli Stati Uniti d’America alla Casa Bianca”.
Questo era troppo per S. L’aggeggio si prendeva gioco di lui. Era un marchingegno generatore di falsità. La confusione gli ottenebrò il cervello e tracimò in una incontrollata rabbia. Cosa stava accadendo, pensò senza trovare una spiegazione sensata. Cliccò sulla finestra menzognera: era un servizio giornalistico che descriveva la visita negli USA della premier italiana Giorgia Meloni presso l’omologo americano Joe Biden. Non era possibile, era una bufala! I presidenti erano Berlusconi e Clinton…
Tornò al rettangolo sapienziale di Google e scrisse “Giorgia Meloni”. Era vero. La segretaria di Fratelli d’Italia era stata eletta due anni prima (nel 2022!) primo presidente del Consiglio donna d’Italia. La puntura di soddisfazione per l’elezione di una donna alla guida del governo – era ora! – sfumò l’altro dato sconcertante: non era il 1994 ma il 2024. Lesse con occhi febbrili che la politica, in alleanza con Forza Italia (allora Berlusconi c’era ancora?) e la Lega (c’era dunque pure Bossi?) aveva sbaragliato la sinistra alle elezioni e aveva ricevuto l’incarico di formare il governo dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (sicuro dunque Scalfaro non c’era più). La premier guidava un partito che non aveva mai del tutto ripudiato il fascismo, avendo soppiantato la fallimentare svolta conservatrice del predecessore, Gianfranco Fini, per tornare alla ideologia originaria di una destra dura e pura, ispirata agli antichi totem Dio, patria e famiglia (tradizionale), conditi di ordine e pugno fermo, come il loro presidente del Senato ben ricordava – tale Ignazio La Russa, un decano nostalgico del Duce, di cui rivendicava orgogliosamente il busto in camera da letto, ex picchiatore neofascista degli anni ’70. Cosa diamine era successo? L’Italia era tornata ad affidarsi agli epigoni della destra estrema, come era potuto accadere? S. credeva che il punto maggiormente delirante del paese fosse stata l’elezione di Berlusconi a premier. Ma che fine aveva fatto il Cavaliere? S. chiese di nuovo a dio Google. Berlusconi era morto. Wikipedia scriveva che dopo aver governato con alterne vicende dal 1994, per 18 anni, nel 2013 era stato interdetto dai pubblici uffici, decadendo dalla carica di senatore, dopo una condanna per frode passata in giudicato. Nonostante il lento declino, aveva continuato a dirigere Forza Italia, il partito fondato dal nulla negli anni ‘90, fino a essere candidato, e respinto, a Presidente della Repubblica un anno prima della morte. Gli erano stati tributati funerali di Stato. S. basiva e sudava. Il duomo di Milano si era gremito di autorità e popolo per onorare “il grande statista”. Il grande statista? Ma se Berlusconi era stato inquisito per frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, corruzione di magistrati e politici, prostituzione, tangenti, evasione fiscale, sospettato di rapporti con la mafia siciliana, organizzatore di bunga bunga seriali con minorenni annesse. Funerali di Stato funerale dello Stato? Del resto, questo paese era parso agonizzante a S. già “nei suoi anni”. Silvio dunque si era fatto di lato per lasciare spazio a due delfini alla sua destra: la suddetta Giorgia e Matteo Salvini. Da una rapida ricerca emerse che quest’ultimo aveva sostituito Umberto Bossi, il segretario fondatore della Lega, mutando strategia politica, cambiando nemici: non più i meridionali puzzolenti e parassiti ma gli immigrati, preferibilmente quelli africani, i neri. “Prima gli italiani” era stato lo slogan che aveva conquistato voti anche al Sud (“si scansano anche i cani / arrivano i napoletani” intonata ai raduni leghisti era stata dimenticata), portando il razzista con l’espressione acquatica al governo del paese, insieme a un’altra forza politica mai sentita: i 5 Stelle, che pareva il nome di una marca di biscotti sebbene avendo il poderoso programma del vaffanculo fossero diventati partito di maggioranza. Poi il bullo xenofobo padano si era montato la testa, si era messo a bere drink a Riccione, a sbirciare negli scolli delle cubiste del Papeete e aveva fatto cadere il governo, implodendo innanzitutto lui stesso.
S. sentì un senso di nausea salirgli nell’esofago, un bolo disgustoso di vomito, e non seppe se la causa fosse l’assurdità di quello che gli stava accadendo o l’inverosimiglianza di ciò che leggeva. Avvertì un fremito convulso nel corpo e le dita inconsulte cliccarono quelle su News quasi a rimuovere quelle oscenità. Le eterne guerre furono le prime ad apparire ma non si trattava del conflitto nei Balcani a lui coevo, la Russia aveva attaccato l’Ucraina – ma l’URSS non si era sciolta pacificamente, pensò – mentre Israele assediava Gaza – e questo gli parve conflitto noto, iniziato da prima che lui nascesse. A Gaza erano stati uccisi ventottomila palestinesi di cui il settanta per cento donne o minori, lo stupro etnico dei Balcani era stato dunque sostituito dal massacro etnico. Stavolta il dio non comunicava nulla di nuovo. Seguivano poi notizie di morti varie: in Italia da inizio anno sessanta donne uccise per mano di uomini che si aggiungevano alle centoventi del 2023. Duemilacinquecentosettantuno i migranti morti in mare nel 2023 che si sommavano ai duecentosettantacinque del 2024. S. dovette distogliere gli occhi che tremarono per la vertigine di tutto il corpo. La fitta di orrore lo spinse ad una improvvisa lucidità: tutto ciò che leggeva non poteva essere, non era reale che lui si trovasse nel 2024 anziché nel 1994. La necessità di fuggire da quell’incubo, il panico angosciante, lo determinarono ad agire: doveva chiedere aiuto. Pizziccotti e acqua fredda si erano rivelati inutili, necessitava dell’intervento di un altro essere umano per fuoriuscire da quella allucinazione e recuperare la normalità. L’istinto fu di precipitarsi all’esterno e urlare aiuto ma il timore di essere scambiato per un folle lo frenò. Decise di chiamare la polizia.
Cercò il cellulare, era in carica come d’abitudine, lo afferrò tremante. Sbandò. Non era il suo Nokia. In corrente dove lo riponeva ogni sera c’era un oggetto affusolato, schiacciato, lungo e sottile, non il suo smussato, compatto telefonino. Lo osservò come un entomologo un insetto misterioso. Incantato, ruotò lentamente la mano per analizzare l’apparecchio, anche questo pareva una evoluzione: non aveva i tasti con i numeri, era tutto schermo, era leggero. Lo toccò timoroso, si illuminò. Lo sfondo dello schermo si muoveva: un turbine di granelli colorati vorticavano. Allungò la punta del pollice per toccarli, lo schermò mutò all’istante squadernando una serie di simboli multicolori. S. era rapito dall’alchimia. Comprese che bastava premere per accedere, il tatto avrebbe perpetuato l’incantesimo per la vista. Toccò una F bianca in campo blu. In alto foto varie, capeggiate da “La tua storia”, dove c’era S. che rideva in riva al mare, ricordò quel momento di sporadica felicità – come era finita là quella foto privata? Sotto, altre immagini corredate di didascalie, poi commenti a serate brillanti, a primi piani cinematografici, a riunioni tra persone, a escursioni, a politici, a persone indefinite, a paesaggi, a scorci vari. E sotto, in minuscolo, altri commenti: apprezzamenti, pollici, cuori, insulti rabbiosi, polemiche senza nesso. A sinistra, in alto, c’era un ovale con un’altra sua foto e il suo nome, su cui cliccò. Si aprì una sezione in cui c’era lui: breve nota biografica, post, immagini, amici. Aveva ben 2345 amici! Lui neppure le conosceva duemila persone, chi diamine erano questi amici? Nei post S. pubblicava copertine di libri corredate di brevi estratti, commemorazioni di giornate storiche, video musicali. Nelle immagini invece c’era tutta la sua vita: luoghi significativi (solo per lui), situazioni varie, incontri a cui aveva partecipato, altre persone (stavolta amici veri); tutto pareva un estratto di gioia o di intensità, non c’era la disperazione, non c’era il dolore. Non era la sua vita.
Uscì premendo la X in alto. Sfiorò un’altra icona: una sorta di obiettivo fotografico in campo arancio. Qui le “storie” stavano in un tondo, allineate in orizzontale. Cliccò a caso: una ragazza rideva rotolandosi per terra, un’altra in primo piano nei bagni della scuola aveva scritto “Carcere Lucrezio Caro”, un altro con birra in mano e sguardo maledetto aveva chiosato “To be free”, un altro si autospecchiava mostrando i risultati della palestra, un altro si rivolgeva al mondo con lo sberleffo “L’invidia vi uccide”. I video o le foto duravano pochi secondi e poi la carrellata procedeva in automatico sfumando in altre minime storie. Nel corpo della pagina invece brulicavano umani in costume da bagno, vestiti da sera, in locali, con alcolici. Primi piani o figure intere scattate in pose improbabili o innaturali: sguardi perduti in punti indefinibili, colli di traverso, sederi in evidenza, boccucce sensuali, linguacce. Tutti pareva avessero vite meravigliose e divertenti, tutti trascorrevano le giornate e le nottate in modo extra ordinario. Cliccò sulla popolare Vanessa B. Apparvero fotografie di lei sempre alla moda, sensuale, ammiccante, scintillante con a lato di ognuna commenti entusiasti, “La più bella”, “Sei una stella”, “Chiudete l’Instagram”, “Numero uno si nasce”, e talvolta volgari, “Ti leccherei tutta”, “Mi mostri i piedi?” “Faccela vedere” o peggio. S. estenuato cliccò su uno dei molteplici nomi incomprensibili: xytangnight. Non c’erano foto, solo ovali con storie. Cliccò. Lui frontale di fronte allo spettatore ancheggiava, si agitava, cantava con base preconfezionata, catechizzava il pubblico con consigli vari, su tutto si stagliava minuscola la scritta TikTok. S. premette su questa e fu catapultato in un luogo dove si susseguivano brevi video di ogni sorta: umani a gruppi di due o di tre scimmiottavano balletti assurdi, signore o signori infuriati inveivano contro persone imprecisate, giovani americani preparavano intrugli culinari nazionali, ragazze insegnavano a truccarsi, professori tenevano lezioni. S. fu attratto da due didascalie precedute dall’asterisco: OnlyFans e Tinder. Il primo proponeva abbonamenti che S. rinunciò a sottoscrivere, ma poté capire che lì la gente vendeva contenuti (foto, video, dirette), soprattutto porno: persone comuni si mostravano nude o altro in cambio di soldi. Spesso erano di giovanissima età. Il secondo era un luogo di incontri sentimentali o meglio erotici. Si creava un profilo con le proprie caratteristiche generali, si allegava una o più foto, e Tinder metteva in contatto con persone nei pressi disposte ad un incontro. S. vacillò. Adesso gli umani si conoscevano così? Mentre la sua mente frapponeva immagini e scritte precipitò nel deliquio.
Esseri umani per strada con la testa china sullo schermo. Un autobus asfalta un uomo. Tutti continuano a guardare il proprio schermo. Salvini urla “prima gli italiani” e tracanna gin. Poi urla ancora. Salvini e Meloni si incontrano in Tinder. Giorgia sghignazza compiacente, sono una donna, sono una madre, sono cristiana. Silvio sorride nella bara, riappacificato. Il duomo di Milano gremito di telefoni. Vanessa B. si mostra lasciva a bavosi degenerati. Xytangnight mostra la ricetta della cheesecake in TikTok, poi si gira e mostra il culo nudo. Orde danzano invasate il bunga bunga. Bombe israeliane maciullano bambini palestinesi. Alcuni si indignano in Facebook. Donne nere incinte affogano al largo della Sicilia. Prima gli italiani. Prima gli europei. Prima gli americani. Tutti urlano che qualcuno vuole rubare loro qualcosa. Tutti hanno ragione e strillano per farsi sentire da se stessi. Tutti vogliono stare con tutti e restano soli. Allora urlano ancora e picchiano e violentano. Nessuno piange. Coloro che piangono vengono portati via con la camicia di forza. Coloro che parlano a bassa voce sono internati. I libri gettati a terra e calpestati per distrazione. Una donna viene uccisa in silenzio. Una donna predica l’utopia in una piazza deserta. S. guarda inebetito lo schermo vuoto.
La macchinetta del caffè esplose. Il mondo sparì.